Formazione e informazione

L’obbligo della formazione per gli architetti ha caratteristiche uniche perché è il riconoscimento di una condizione di costante crescita culturale, necessaria al mantenimento di una identità professionale che non è solamente tecnica. Si può anzi affermare che l’aspetto tecnico e tecnologico, nella formazione dell’architetto, siano una presenza necessaria ma non sufficiente e probabilmente non rappresentano neppure la quota maggioritaria del suo bagaglio professionale, essendo sostanzialmente dei mezzi di comunicazione oltre che degli strumenti attuativi.

Il progetto nasce da una sintesi culturale, umanistica, artistica che rappresenta il vaglio attraverso il quale passano le idee, le intuizioni, le aspettative, gli obiettivi. Il prodotto di questa sintesi andrà poi alla ricerca degli strumenti più idonei alla sua trasformazione in spazio e materia ma questo processo non dovrebbe mai svilupparsi nel verso contrario, dove la sintesi progettuale rappresenta la legittimazione delle scelte tecniche e tecnologiche già strutturate.

Sarebbe quindi necessario distinguere tra formazione professionale ed informazione tecnica e tecnologica: due ambiti gerarchicamente definiti con il secondo chiaramente subalterno e conseguente.

Le ragioni di una professione

La costante riduzione del numero degli iscritti alle facoltà di architettura (fatta salva la mini-ripresa degli ultimi due anni), è un fenomeno che traina una serie complessa di effetti, tutti negativi. La vita e lo sviluppo delle città, nella complessità delle relazioni costituenti, richiederebbero la presenza di un numero di architetti sempre maggiore e con professionalità tali da poter governare i processi di interazione tra le innumerevoli componenti attive della struttura urbana e territoriale. La “ricucitura” di cui parla spesso Renzo Piano è un’immagne chiara di questa necessità: è (o dovrebbe essere) la caratterizzazione della formazione dell’Architetto.

Governare i processi di interazione (ricucire) è un atto progettuale riferibile allo spazio interno di un fabbricato e alle sue componenti architettoniche, all’intorno di vicinato, al quartiere, alla città, al sistema territoriale qualunque sia la sua estensione e la scala di intervento. Questa figura professionale, pur presente nella storia dell’architettura, con i caratteri peculiari di ogni epoca, oggi è ridotta ad un numero esiguo di esemplari; architetti privilegiati dalle prossimità con sistemi economici ed in generale di potere ma anche professionisti che hanno saputo imporsi per preparazione, cultura, lungimiranza e fiducia nella possibilità di investire sui propri mezzi.

Il nodo vitale della formazione

Preparazione e cultura: questo binomio appare sempre più debole nei giovani laureati; certamente non per limiti personali ma per scuole di architettura che hanno rinunciato alla complessità e all’approfondimento per non perdere definitivamente la loro popolazione studentesca, a sua volta vittima inconsapevole di una legislazione il cui unico interesse è far aumentare rapidamente il numero dei laureati, indipendentemente dal loro livello di preparazione e spesso ad onta di quest’ultimo.

In questo panorama la figura dell’Architetto è forse la più penalizzata perché la sua caratteristica di svilupparsi tra l’arte e la tecnologia per generare sistemi spaziali dove questi due aspetti si fondono in un insieme armonico, richiede una base accademica di altissimo livello e la contemporanea possibilità, durante la vita universitaria, di una continua “immersione” nella grande cantieristica dell’edilizia, del restauro, della pianificazione.